In questo libro si esplorano alcuni testi del Novecento letterario italiano dal punto di vista della città. Ognuno di essi è dunque oggetto di una riflessione critica sullo spazio urbano. In questo modo l'autore ci offre, non solo una nuova prospettiva per leggere alcuni importanti lavori narrativi, ma anche gli elementi per percepire in modo diverso il percorso della nostra tradizione letteraria. Mettendo in evidenza il rapporto che questi testi hanno con lo spazio urbano, l'autore rivela una serie di relazioni conflittuali non solo con la modernità (e la sua crisi), ma anche e soprattutto con le forme moderne di comunità e di organizzazione sociale.
Se Gramsci ha sottolineato il carattere non nazional-popolare della letteratura italiana, ciò che il discorso critico di Binetti evidenzia invece è la mancanza di un "popolo" e di una "nazione". I protagonisti di tutti i lavori presi in esame sono in fuga proprio da quelle forme rigide e statiche di organizzazione sociale necessarie alla formazione di un popolo e di una identità nazionale. Se il discorso gramsciano ci mette in guardia rispetto al fatto che senza un popolo e senza una nazione tutto ciò che resta sono solo frammenti incoerenti, attraverso la lettura proposta in questo libro ci troviamo di fronte a uno scenario completamente diverso: a processi collettivi di "esodo costituente", a un nomadismo capace di generare comunità alternative. Esodo e nomadismo diventano allora un processo non solo di fuga ma anche e soprattutto di costituzione, che permette di evadere i confini oppressivi della città e creare simultaneamente una nuova soggettività - individuale e collettiva - capace di esistere proprio al suo interno. Si tratta insomma non della formazione di un "popolo" e di un'"identità nazionale" ma dell'emergere di una "moltitudine" di soggettività dinamiche che prospettano nuovi scenari urbani e nuove comunità a venire.